Internet diritto costituzionale

La Rete deve essere di tutti?

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Rob
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Fenice ha scritto:Nella "comunità in cui vivo" non si può fare a meno di Internet, quindi è un mio diritto accedere alla Rete Internet.
Ma quanto è grande questa comunità? Dov'è che, in Italia, si può fare a meno dei servizi offerti dalla Rete?
marika ha scritto:La domanda è: (...)
Una legge in tal senso potrebbe rappresentare un forte incentivo all'ampliamento della copertura della banda larga, nonché al miglioramento della stessa ai fini di garantire un "minimo qualitativo" per tutti.
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Fenice
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Su Europaquotidiano.it c'è un interessante articolo dal titolo Il diritto all'accesso è già in Costituzione che tratta del diritto universale di accesso alla rete e dell'introduzione nell'attuale Costituzione di un apposito articolo attraverso un processo di revisione costituzionale.
Come è noto si tratterebbe di un processo assai complesso regolato dall’articolo 138 della Carta: occorrerebbe, insomma, approvare la modifica nelle due camere, con un doppio voto, e raggiungere una maggioranza dei due terzi per evitare che la riforma debba poi essere sottoposta a referendum.
Il problema reale, tuttavia, è chiedersi se per garantire l’accesso alla rete serva addirittura una riforma della Costituzione o se invece si tratti ancora una volta di un tentativo della classe politica di sfuggire alle proprie incapacità e omissioni: viene il sospetto che, non sapendo o non volendo risolvere i problemi attraverso le vie amministrative e legislative ordinarie, si provi a rifugiarsi in miracolose riforme costituzionali. In realtà la Carta, pur risalendo al 1946, garantisce già largamente l’accesso universale e libero alla rete, poiché afferma che la repubblica deve rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che riducano l’eguaglianza sostanziale dei cittadini e la loro partecipazione effettiva alla vita sociale (articolo 3).
Anche l’articolo 41, tanto discusso e che si vorrebbe cambiare, sancisce che l’impresa e l’attività economica – anche quelle che gestiscono le telecomunicazioni e la rete – debbano essere vincolate all’utilità sociale e possano essere programmate e controllate per rispettare e soddisfare i diritti della persona. Aggiungiamo poi i diritti di espressione, stampa, associazione, partecipazione alla vita politica, libertà di insegnamento e promozione della cultura che sono garantiti anche contro ogni monopolio pubblico o privato, e il quadro è completo: ci sarebbe solo da rispettare la Costituzione vigente, più che cambiarla.
In realtà ciò che servirebbe oggi per eliminare il digital divide sociale, territoriale e generazionale che affligge l’Italia, più che la riforma della Carta sarebbe un colossale sforzo finanziario e organizzativo che dovrebbe coinvolgere pubblico e privato: entrambi sarebbero impegnati a dotare il paese di una grande, unica infrastruttura di rete ad alta velocità, economica ed efficiente, e di un grande Piano di alfabetizzazione informatica. Questa è concretezza: la ventilata riforma costituzionale, forse, è solo un po’ di aria fritta. Serve concretezza, perché il tempo di internet non è un tempo per addetti ai lavori che necessita di nuove cornici istituzionali. È solo la prosecuzione innovata del tempo di sempre.